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Santi del 21 Febbraio

Il mio Santo > I Santi di Febbraio

*Beati Baldassarre, Antonio ed Ignazio Uchibori - Fratelli Giapponesi, Martiri (21 febbraio)
Scheda del gruppo a cui appartengono i Beati Baldassarre e Antonio ed Ignazio:
“Beati Martiri Giapponesi” Beatificati nel 1867-1989-2008 - Senza data (Celebrazioni singole)

+ Shimabara, Giappone, 21 febbraio 1627
A Shimabara, nei pressi di Nagasaki in Giappone, si colloca la vicenda del martirio di tre giovani fratelli Uchibori: Baldassarre (probabilmente il più vecchio), Antonio (18 anni) ed Ignazio (5 anni).
Erano nativi di Fukae, figlio del Beato Paolo Uchibori Sakuemon, che subì anch'egli il martirio una settimana dopo presso Unzen.
Il martirio di questi tre fratelli si colloca nel contesto di feroci ondate persecutorie contro i cristiani che attraversarono la sua patria in quel periodo.
In seguito ad un rapido processo iniziato con il Nulla Osta della Santa Sede concesso in data 2 settembre 1994, è stato riconosciuto il loro martirio il 1° luglio 2007 e sono stati beatificati il 24 novembre 2008, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, unitamente ad altri 185 Martiri Giapponesi.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Baldassarre, Antonio ed Ignazio Uchibori, pregate per noi.

*Beato Claudio di Portacieli – Cardinale (21 febbraio)

XIV secolo
Originario di Francia, il Beato Claudio de Tonelles, era commendatore di Carcassona, nominato
redentore nel 1318 attraversò la Linguadoca, Rosellon e Catalogna chiedendo l’elemosina per la redenzione.
Per attirare l’attenzione della gente aveva messo sul suo bastone da pellegrino una bandiera sulla quale aveva disegnato l’immagine della Madonna della Mercede con uno schiavo in ginocchio, ai suoi piedi la scritta “Haec est porta coeli” (questa è la porta del cielo), per questo poi venne soprannominato Claudio di Portacieli.
Durante la sua missione di redenzione in Africa, liberò 1550 schiavi.
Cardinale di Santa Romana Chiesa dal titolo di Santa Pudenziana, fu esemplare nel culto della Beata Vergine della Mercede e la sua santità fu testimoniata da molti miracoli.
L’Ordine lo festeggia il 21 febbraio.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Claudio di Portacieli, pregate per noi.

*Sant'Eleonora - Regina d'Inghilterra (21 febbraio)

1222 - Amesbury, 25 giugno 1291
Nacque nel 1222 da Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, e da Beatrice di Savoia.
Donna di grande pietà ed amante delle lettere, il 14 gennaio 1236 sposò a Canterbury il re Enrico III d'Inghilterra.
Nella sua nuova residenza inglese fu seguita da un gran numero di parenti e connazionali, che abbandonarono la Provenza in cerca di fortuna.
Esercitò una grande influenza, sia durante il regno di Enrico, sia nei primi anni del regno di suo figlio Edoardo I.
Ritiratasi nell'abbazia benedettina di Amesbury, vi prese il velo il 3 luglio 1276 e lì visse poi sempre sino alla morte, avvenuta il 25 giugno 1291 in concetto di santità.
Etimologia: Eleonora = che ha pietà, dal greco; dimin. = Nora, Norina
In duemila anni di cristianesimo non sono purtroppo molti i fedeli laici ascesi alla gloria degli altari e tra questi la gran parte sono teste coronate di tutta Europa.
Molte sovrane sono state acclamate sante dal loro popolo e la Chiesa ha ratificato il culto loro tributato.
Esempi significativi sono le sante regine francesi Clotilde, Radegonda, Bianca, Giovanna e Batilde, nonchè Matilde di Germania, Elisabetta del Portogallo, Margherita di Scozia, Gladys del Galles, Berta del Kent ed Etelburga di Northumbria.
Quali beate sono venerate Beatrice de Suabia, Gisella d’Ungheria, Caterina di Borsnia ed Ildegarda di Kempten, consorte di Carlo Magno. Già nell’Antico Testamento troviamo la Regina Ester, oggi commemorata anche dal Martyrologium Romanum.
Giovanni Paolo II ha dichiarato “patrona d’Europa” la regina Brigida di Svezia ed ha dichiarato sante le regine polacche Kinga ed Edvige.
“Venerabili” sono state riconosciute dalla Chiesa Maria Clotilde di Borbone e Maria Cristina di Savoia, rispettivamente sovrane del Regno di Sardegna e delle Due Sicilie.
Recentemente sono state introdotte le cause di canonizzazione anche per Isabella “la Cattolica”, celeberrima regina di Castiglia, ed Elena del Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia.
Oggi è invece festeggiata Santa Eleonora, nelle cui vene per parte materna scorreva anche sangue sabaudo.
Nata nel 1222, era infatti figlia di Beatrice di Savoia e Raimondo Berengario IV, conte di Provenza.
Il nonno non era che il Beato Umberto III conte di Savoia, primo santo di Casa Savoia.
Eleonora, donna di grande pietà ed amante delle lettere, il 14 gennaio 1236 a Canterbury convolò a nozze con il re Enrico III d’Inghilterra.
Nella sua nuova residenza inglese fu seguita da numerosi suoi parenti e connazionali, che abbandonarono la Provenza in cerca di maggior fortuna.
Molti di essi, infatti, riuscirono con la sua intercessione ad occupare vari importanti uffici pubblici, ma il favoritismo di Eleonora nei loro riguardi suscitò contro di lei una grande impopolarità da parte dei sudditi inglesi.
Questi insorsero nel 1261, costringendala a rifugiarsi nella torre di Londra.
Allorché Enrico III fu fatto loro prigioniero nel 1264, durante la battaglia di Lewes, ad Eleonora non restò che fuggire nel continente, ove riunì un esercito con cui riuscì a far liberare il marito.
Tornata dunque in Inghilterra nel 1265, insieme al Legato Pontificio, Eleonora non mancò di esercitare una grande influenza, sia durante il regno di Enrico, sia nei primi anni del regno del figlio nato dalla loro unione, Edoardo I.
Ritiratasi infine dalla vita pubblica, il 3 luglio 1276 prese il velo nell’abbazia benedettina di Amesbury, ove trascorse i suoi giorni sino alla morte, avvenuta il 25 giugno 1291 in concetto di santità.
É facile comprendere come la venerazione nei suoi confronti sia nata in modo particolare all’interno dell’ordine religioso di cui fece parte e comunque il suo culto non è mai stato ufficializzato dalla Chiesa.
Nonostante ciò la festa di Santa Eleonora viene localmente celebrata al 21 febbraio.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eleonora, pregate per noi.

*Sant’Eustazio di Antiochia – Vescovo (21 febbraio)
+ Traianopoli, Tracia, 338 circa
Sant’Eustazio, vescovo di Antiochia al tempo dell’imperatore ariano Costanzo, per la sua presa di posizione in difesa della fede cattolica fu esiliato a Traianopoli, in Tracia, dove morì nel 338 circa.
Etimologia: Eustazio = che sta bene, dal latino Eustathius, tratto dal greco Eystàtios
Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Eustazio, vescovo di Antiochia, che, illustre per dottrina, sotto l’imperatore ariano Costanzo fu mandato in esilio a Tuzla in Tracia per aver difeso la fede cattolica e qui riposò nel Signore.
Oriundo di Sida in Panfilia, Eustazio fu un uomo eloquente, erudito e virtuoso, secondo quanto ci è stato tramandato. Designato vescovo della città siriana di Berea, meritò intorno al 324 di essere
elevato alla sede di Antiochia, che allora deteneva ancora il terzo posto per importanza nella gerarchia della Chiesa universale, dopo Roma ed Alessandria. L’anno seguente fu accolto con tutti gli onori al concilio di Nicea, ove si distinse per la sua totale opposizione all’arianesimo.
Quale capo della Chiesa di Antiochia, aveva anche giurisdizione sulle diocesi circostanti, nelle quali insediò vescovi degni d’istruire e guidare il proprio gregge.
La sua netta opposizione all’arianesimo lo portò ad uno scontro frontale con Eusebio, vescovo di Cesarea, celebre “padre della storia della Chiesa”, che per ripicca non lo nominò mai nella sua preziosa opera. Eustazio lo aveva infatti accusato di alterare il senso del credo niceno, scatenando così una feroce lotta tra i vescovi ortodossi e quelli che ancora parteggiavano per la dottrina ariana.
Eusebio, assiduo frequentatore della corte imperiale, riuscì nel 330 a persuadere Costantino a deporre Eustazio, ma quando l’anno seguente gli fu offerta proprio tale sede episcopale, preferì rifiutare.
Il legittimo vescovo fu comunque esiliato a Traianopoli in Tracia, ma prima di lasciare la sua cattedra, parlò al suo gregge con una forza tale che parecchi decisero di dare vita ad una fazione e suo sostegno, tenacemente opposta ai vescovi ariani. Eustazio morì infine in esilio verso l’anno 338.
Scrisse parecchie opere, purtroppo andate tutte perdute. La più importante di esse era il trattato “Adversus Arianos” in otto volumi. A parte rari framment, l’unico brano pervenutoci appartiene al trattato antiorigenista “De engastrimutho”, noto come “La pitonessa di Endor contro Origene” o “Il Ventriloquo contro Origene”. Pare che la sua teologia fosse la medesima della scuola di Antiochia, con un approccio alla Scrittura decisamente più storico e critico rispetto a quello di Alessandria.
Ciò lo portò anche ad essere talvolta sospettato di nestorianesimo e sabellianismo.
Secondo la prima teoria in Cristo sussisterebbero due persone separate, mentre la seconda vuole Dio assolutamente uno e perciò i nomi “Padre” “Figlio” e “Spirito Santo” indicherebbero in Dio solo differenti modi ed azioni, ma non persone distinte.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’Eustazio di Antiochia, pregate per noi.

*San Felice di Metz – Vescovo (21 febbraio)

Etimologia: Felice = contento, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
Nel più antico catalogo dei vescovi di Metz, compilato verso il 776, e giunto a noi nel Sacramentario di Drogone, vescovo della stessa città dall'823 all'855, Felice figura al terzo posto, preceduto da Clemente e Celeste, seguito da Paziente, Vittore I e Vittore II.
Poiché quest'ultimo è documentato nel 346, il pontificato di Felice dovrà essere collocato nel secondo o terzo decennio del sec. IV.
Altre fonti pretendono di precisare che pontificò per quarantadue anni e sei mesi e che morì il 21 febbraio; ma come, dopo il Duchesne, osservano i Bollandisti nel Commento al Martirologio Romano, <<21 il ricordato E? sunt?.
Controversa et dubia admodum initia Mettensis sedis>
(Autore: Pietro Burchi – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
San Felice I, nella cronotassi dei vescovi della diocesi di Mets, è stato inserito al terzo posto. La sua posizione è stata assegnata dal più antico catalogo dei vescovi della città, compilato intorno al 776 e giunto ai nostri giorni nel cosiddetto “Sacramentario” di Drogone, vescovo di Metz tra gli anni 823 e 855.
San Felice I, è preceduto da San Clemente (280-300), protovescovo di Metz e da San Celeste.
I suoi successori sono San Paziente, San Vittore I (346) e San Vittore II. E proprio grazie alla presenza di San Vittore I, documentato intorno al 346, è possibile ipotizzare che San Felice I abbia governato la città nel secondo o terzo decennio del IV secolo.
Ci sono alcune fonti della tradizione, ma queste informazioni non hanno fondamento storico, circa il fatto che San felice I sia stato il pastore della città di Metz per quarantadue anni e sei mesi e che morì il 21 febbraio in un anno imprecisato.
Che queste affermazioni siano sono solo delle ipotesi fantasiose lo  confermano anche i bollandisti, che nel loro commento al Martirologio romano hanno scritto: “haec sedis Mettensis initia admodum dubia et controversa sunt”.
La tradizione vuole che nel corso dell’XI secolo le sue reliquie siano state consegnate da Tierry del Lussemburgo all’arcivescovo di Bamberga, diocesi costituita dall’Imperatore Enrico II nel 1007.
La sua festa è stata fissata il giorno 21 febbraio.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Felice di Metz, pregate per noi.

*Santi Germano e Randoaldo - Abate e Monaco (21 febbraio)
Martirologio Romano: Nel monastero di Grandfelt nell’odierna Svizzera, San Germano, abate, che, avendo voluto difendere con parole di pace gli abitanti dei dintorni del monastero assaliti da una banda di predatori, morì insieme al santo monaco Randoaldo spogliato delle vesti e trafitto da una lancia.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Germano e Randoaldo, pregate per noi.

*Beata Maria Enrichetta Dominici – Vergine (21 febbraio)

Carmagnola (To), 10 ottobre 1829 - Torino, 21 febbraio 1894
Nata a Carmagnola (To) il 10 ottobre 1839, Caterina Dominici nel novembre 1850 entra tra le suore della Congregazione di Sant’Anna e della Provvidenza, fondata nel 1834 dai Marchesi Tancredi e Giulia di Barolo.
Nella famiglia religiosa prende il nome di Suor Maria Enrichetta. Nel 1854 è a Castelfidardo, nelle Marche, dove dà prova di grande carità durante l’epidemia di colera. Rientrata a Torino come maestra delle novizie, nel 1861 a soli 32 anni è chiamata a guidare la Congregazione come superiora.
Lo farà per ben 33 anni dando un impulso decisivo alla crescita di questa famiglia religiosa. Lo stesso san Giovanni Bosco, fortemente impressionato, chiederà consiglio a madre Maria Enrichetta quando deciderà di istituire le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Sempre lei aprirà alle sue suore l’orizzonte della missione: le prime sei, nel 1871, partiranno per l’India, realizzando un sogno che lei stessa aveva coltivato da ragazza. Muore il 21 febbraio 1894. Paolo VI la proclamerà beata nel 1978. (Avvenire)
Etimologia: Maria = amata da Dio, dall'egiziano; signora, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Torino, Beata Maria Enrica (Anna Caterina) Dominici, delle Suore di Sant’Anna e della Provvidenza, che governò con saggezza l’Istituto per trent’anni fino alla sua morte e lo accrebbe.
“Dio è Babbo buono, sa tutto, può tutto e mi ama”: questo pensiero Madre Enrichetta Dominici lo sentì proprio per tutta la vita. Il “Babbo Buono” prese il posto del padre naturale quando era solo una bambina.
Caterina Dominici nacque il 10 ottobre 1829 a Carmagnola (Borgo Salsasio), quartogenita, in una semplice famiglia di campagna. Aveva quattro anni quando i genitori si separarono e del padre non si seppe mai più nulla, una pena che Caterina portò per sempre nel cuore. Madre e figli andarono a
vivere con lo zio sacerdote a Borgo San Bernardo (altra frazione di Carmagnola), insieme al nonno e ad una zia. Tra casa, scuola e chiesa, tutte vicine, Caterina formò il suo carattere, improntato ad una profonda religiosità.
Un po’ timida, non le piaceva essere contraddetta. Aveva una passione per i fiori e col fratello, che divenne poi sacerdote somasco, giocava a fare altarini. Risparmiava quel poco che poteva per i poveri, aiutava e confortava i malati. Prese l’abitudine di confessarsi e fare la comunione tutte le settimane. Vivendo in una canonica a Caterina certo non mancò la lettura dei libri religiosi, amando soprattutto le vite dei Santi.
Elesse sua patrona S. Caterina da Siena e le venne il desiderio di “essere monaca ad ogni costo". Fece di nascosto, in casa, una sorta di noviziato ma, esagerando nelle penitenze, arrivò a mettere in pericolo la salute. Quando manifestò il desiderio di farsi religiosa lo zio sacerdote si oppose fermamente mentre la mamma, sebbene non fosse contraria, sentiva la paura di restare sola. Dovette attendere cinque anni per vedere avverato il suo desiderio. Faceva parte della Compagnia delle Umiliate che aveva il compito di accompagnare i morti alla sepoltura. Un giorno, vincendo la naturale timidezza, trasportò sulle sue spalle una bara. A quindici anni iniziò ad insegnare catechismo ai piccoli del borgo. Era "l’angelo del paese".
Leggiamo nell’autobiografia: "In chiesa mi fermavo alcune volte, specialmente nei giorni festivi, anche quattro o cinque ore di seguito... Il tempo davanti a Gesù sacramentato mi passava come un lampo. Avrei voluto starvi sempre se altri doveri non mi avessero chiamata altrove”. Ma, come accade alle anime privilegiate, iniziarono pure le prove spirituali: “a poco a poco Dio mi tolse tutti i suoi doni, e io rimasi arida, fredda, insensibile. Un tal combattimento dolorosissimo per l'umanità non recò pregiudizio al mio spirito, e con la grazia di Dio proseguii in tutti i consueti esercizi e pratiche di pietà, benché più non vi sentissi il trasporto di prima". La sua comunione con il Signore era profondamente intima, facendola sentire a disagio durante le processioni religiose.
Nel 1848 la famiglia si trasferì, seguendo lo zio don Andrea, a Carmagnola. Due anni dopo, finalmente, nel novembre 1850, ottenne il permesso di farsi religiosa, non di clausura però, come desiderava, ma tra le Suore di S. Anna. La ragazza di paese fu ricevuta nel ricco Palazzo Barolo di Torino dalla stessa fondatrice, la Marchesa Giulia, che intuendo la grandezza della sua anima suggerì che da religiosa prendesse il nome della nipote preferita: Caterina diveniva Suor Maria Enrica.
L’Istituto di Sant’Anna era stato fondato nel 1834 dal Marchese Tancredi di Barolo, il nobile benefattore torinese che con la moglie aveva dato vita ad una moltitudine di opere di beneficenza a vantaggio dei poveri.
La Casa Madre sorgeva a pochi passi dal celebre Santuario della Consolata, così come il palazzo dei Marchesi che alle origini della congregazione aveva ospitato i bambini di strada. Le Suore di Sant’Anna, in particolare, nascevano con la missione di educarli ed istruirli. Tra i primi e più valenti collaboratori le suore ebbero la fortuna di avere Silvio Pellico, bibliotecario e segretario della nobile coppia. Suor Enrichetta, superate le difficoltà del noviziato, professò per la festa di Sant’Anna del 1853.
Nel 1854 la giovane suora venne mandata a Castelfidardo, dove sorgeva una casa nata qualche anno prima, poco distante dal Santuario di Loreto, in cui il clima non era sereno. Fu accolta dalle consorelle come “una spia” ma Enrichetta ebbe modo, in poco tempo, di farsi amare. Un anno dopo il suo arrivo in città scoppiò un’epidemia di colera e le suore prontamente si offrirono per curare i malati. Enrichetta toccò con mano la miseria umana davanti alla morte e alla sofferenza.
Per tre mesi la sua dedizione fu straordinaria, il suo esempio rimase a lungo vivo nel ricordo della popolazione. Cessata l’emergenza fu nominata maestra delle novizie. Al direttore spirituale, un padre gesuita, manifestò la continua aridità di spirito e pure il desiderio di andare missionaria in India, per portare il messaggio d’amore di Cristo. Per prepararsi, ottenne il permesso di privarsi “delle cose non assolutamente necessarie”. Del suo periodo marchigiano, un giorno memorabile fu il 17 maggio 1857 quando Suor Enrichetta incontrò in udienza, con altre religiose, Papa Pio IX in visita a Loreto. Alla stessa udienza era presente S. Maddalena Sofia Barat.
Nel 1858 rientrò a Torino e venne anche qui incaricata dell’importante compito di maestra delle novizie mentre era ormai insanabile il triste dissidio tra la Fondatrice e la prima superiora della Congregazione. Dopo l’intervento della Santa Sede, a succederle, nel luglio 1861, quando aveva solo trentadue anni, fu designata proprio Enrichetta. Un grosso peso cadeva sulle sue spalle e lei, sentendosi inadeguata, prima di accettare, si consultò col Canonico Anglesio, successore del Cottolengo alla guida della “Piccola Casa della Divina Provvidenza”. Questi le disse che umilmente doveva accettare la volontà di Dio. La fondatrice, in quei giorni a Lione, saputa la notizia, fece illuminare a festa il santuario della Madonna di Fourvière. Per quattro anni Madre Enrichetta dovette convivere con la deposta superiora. Furono necessarie tutta la sua prudenza e la sua carità perché quest’ultima non lasciava l’istituto, ma neppure partecipava alla vita di comunità, creando un notevole imbarazzo.
Madre Enrichetta rimase al governo della congregazione fino alla morte, per ben trentatre anni, portandola ad uno sviluppo eccezionale. Fondò una trentina di case, raggiungendo Roma e la Sicilia. Ad ogni scadenza di mandato fu confermata, non pareva possibile avere un’altra madre generale. Da ragazza aveva sognato di andare missionaria in India, poteva adempiere al voto indirettamente, mandando le sue suore. Nel febbraio 1871 partirono in sei, “le sue beniamine”, che la Madre affidò alla SS. Trinità di cui era molto devota. Apriva una strada che porterà grandi frutti. Venerata dalle sue suore, nell’ottobre 1879 andò di persona nella lontana India, a Secunderabad, a visitare la prima casa missionaria dell’istituto. Il 14 luglio 1884 fu ricevuta in udienza da Papa Leone XIII. Fu consigliera di san Giovanni Bosco nell’istituire la Regola delle Figlie di Maria Ausiliatrice, “prestando” pure due suore alla nuova congregazione.
Affabile e gentile, era però riservata e di poche parole. Col permesso del superiore fece l’eccezionale voto di cercare nel compimento di ogni azione il modo “più perfetto". Meditava a lungo davanti al tabernacolo e così raccomandava che facessero le suore per le quali ottenne il permesso dalla S. Sede di fare la comunione quotidiana. Nel leggere i suoi scritti, l’autobiografia e il copioso epistolario, si percepisce il totale abbandono in Dio.
Madre Enrichetta fu una mistica straordinaria, sebbene fosse a capo di una congregazione religiosa di vita attiva. Scrisse: “Oh quanto vive felice l’anima che vive totalmente abbandonata in Dio. Oh se tutti conoscessero questa felicità”, “Oh! Felici momenti in cui pare, a modo di esprimermi, che il buon Dio quasi dimentico dell’altezza della sua divinità si abbassa a questa vil creatura, l’unisce a sé e la rende una stessa cosa con Lui! Mio Dio chi potrà mai comprendere sì cara, sì dolce, sì preziosa trasformazione? Questo è un mistero dell’amore e della bontà vostra divina! Bontà, bontà infinita del mio Dio, quando mai giungerò a comprendere la tua immensità!”. “La mia preghiera è silenzio, è sguardo dell’intelletto in Dio ove la sua bontà fa sì ch’io nulla vedendo vedo, nulla sentendo, intendo e conosco le cose con una sicurtà tale che non mi rimane più alcun dubbio sul da farsi…il Babbo mi diede uno sguardo di bontà inesplicabile”.
A stroncare nel corpo quell’anima tutta di Dio arrivò un carcinoma al seno. Si manifestò in seguito a un forte colpo al petto subìto durante una mareggiata, su un battello che da Messina la portava a Napoli. Lo tenne gelosamente nascosto per pudore, accettando così la volontà di Dio. Lo manifestò alle suore quando ormai il male era incurabile. Da fine novembre 1893 non poté più alzarsi dal letto ma, nonostante i lancinanti dolori, continuò a guidare l’Istituto, compiendo tutte le devozioni previste dalla Regola. Si recarono al sua capezzale Maria Clotilde di Savoia e l'Arcivescovo Riccardi che, uscendo dalla camera della Beata, esclamò: "Quale aria di paradiso!". Il medico affermò: "La vostra madre da lunghi anni è preparata a morire. Sono sessant'anni che vedo e curo infermità strazianti e penosissime, e confesso che non ho mai trovato un'anima più quieta e rassegnata di Madre M. Enrica". Trascorse gli ultimi giorni nell'assopimento. Nel momento del trapasso aprì gli occhi, sorrise alle suore che l'attorniavano in lacrime, mormorando con un filo di voce: "Umiltà! Umiltà!". Era il 21 febbraio 1894.
Nel 1926 le sue spoglie mortali furono traslate nella cappella di Casa Madre. Papa Paolo VI, il 7 maggio 1978, la beatificò. Ci sono attualmente case di Sant’Anna in Italia, Svizzera, Camerun, Argentina, Perù, Filippine, Messico, Brasile, Usa. In India le case sono ottanta, più che in Italia, essendo nate, col medesimo carisma, anche congregazioni locali.
Preghiera Dio, che ci sei sempre buon Padre, che sai tutto, puoi tutto e ci ami: Ti ringraziamo dell’eroico esempio di fede e fiducia che ci lasciasti nella tua Serva fedele, Madre Maria Enrichetta: fa’ che la sua glorificazione contribuisca a ridare al mondo angosciato la pace e la serenità dei cuori e delle comunità. Concedi, Padre, per sua intercessione, la grazia che ti domandiamo, Amen.
(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Enrichetta Dominici, pregate per noi.

*Beato Natale Pinot – Martire (21 febbraio)

Angers (Francia), 19 dicembre 1747 - 21 febbraio 1794
Martirologio Romano:
Ad Angers in Francia, Beato Natale Pinot, Sacerdote e Martire: Parroco, durante la rivoluzione francese, mentre si preparava a celebrare la Messa, fu arrestato e, rivestito per scherno con i paramenti sacri, fu condotto al patibolo come all’altare del sacrificio.
Uomo e Prete tranquillo, chiamato a incarichi modesti ad Angers, dove è nato, e dove è arrivato al sacerdozio nel 1771, a 24 anni.
Dopo l’ordinazione è stato per un decennio collaboratore di vari parroci nella regione, e solo nel 1781 gli hanno dato un posto fisso: cappellano nell’ospedale di Angers, addetto agli “incurabili”. Sette anni a contatto con vicende di povertà e abbandono.
Poi, la nomina a parroco nel paese di Louroux-Béconnais. In questo centro a 27 chilometri da Angers, padre Noël continua a vivere umilmente, e di lui non si ricordano imprese o detti risonanti. Un’esistenza sottovoce, com’erano i suoi discorsi nell’ospedale di Angers, agli “incurabili”.
Però si ricorda una piccola “riforma” sua, a favore di altra gente dalla voce fioca: fin dal primo momento, egli destina ai poveri del paese la maggior parte della sua rendita come Parroco.
Non c’è altro da segnalare sul conto di lui, uomo e prete delle piccole cose, delle parole sommesse. Nulla, fino alla rivoluzione francese del 1789; anzi, fino al 12 luglio del 1790, quando si vara in Francia la Costituzione civile del clero, che tende a fare di ogni sacerdote in cura d’anime uno stipendiato governativo legato da giuramento. Ogni parroco, per conservare il posto, deve assoggettarsi alla legge e giurare. Oppure dimettersi.
Il Parroco Pinot non va a giurare. Il sindaco insiste, impone il giuramento, e lui rifiuta. Destituito da parroco con espulsione immediata, lui rimane ugualmente lì. Ma si direbbe che ci resti ancora in
silenzio: non risultano solenni proteste sue contro il sopruso, come accade in molti casi simili. Lui sta zitto, ma non se ne va, finché nel marzo 1791 viene ad arrestarlo la Guardia nazionale. Finisce sotto processo ad Angers con accuse di cospirazione contro lo Stato e ribellione alle sue leggi.
Ma non ci sono prove, non una parola o un gesto suo da ribelle, sicché ad Angers lo assolvono. C’è subito un altro processo a Beaupréau, in appello; e un’altra assoluzione. Così, eccolo libero, ma espulso dalla sua parrocchia: e dovrà fare di nascosto il supplente altrove per quasi due anni: il lavoro non manca, con tanti parroci destituiti.
Giugno 1793: padre Pinot ricompare inaspettato a Louroux-Béconnais, insieme a una truppa di contadini male armati e peggio vestiti, ma per il momento vittoriosi. Sono i Vandeani suoi conterranei, in rivolta armata contro la Repubblica; e si chiameranno poi “Armata cattolica e reale”. Ma in verità il 3 marzo di quel 1793 la ribellione in Vandea contro la Repubblica non è esplosa per motivi religiosi o dinastici, bensì perché il Governo di Parigi ha ordinato un nuovo arruolamento forzoso di 300 mila uomini nell’esercito.
L’insurrezione viene poi stroncata col terrore e padre Noël ritorna clandestino, ma un delatore lo fa arrestare. Nel febbraio 1794, eccolo condannato a morte “per fanatismo religioso”, senza accuse specifiche. E va alla ghigliottina in Angers, facendosi per una volta vedere e ascoltare: lui così poco “visibile”.
Compare ai piedi della ghigliottina indossando i paramenti liturgici. Sale a celebrare il sacrificio di sé stesso, con le parole latine di quando iniziava la Messa: «Introibo ad altare Dei» (Salirò all’altare di Dio). Papa Pio XI lo ha beatificato nel 1926. Il museo parrocchiale di Louroux- Béconnais, presso Angers, conserva cimeli e ricordi della sua vita.
(Autore: Domenico Agasso - fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Natale Pinot, pregate per noi.

*San Pier Damiani - Vescovo e Dottore della Chiesa (21 febbraio)

Ravenna, 1007 – Faenza, 22 febbraio 1072
Nacque a Ravenna nel 1007.
Ultimo di una famiglia numerosa, orfano di padre, ebbe come riferimento educativo il fratello maggiore Damiano.
Di qui, probabilmente l'appellativo «Damiani».
Dopo aver studiato a Ravenna, Faenza, Padova e insegnato all'università di Parma, entrò nel monastero camaldolese di Fonte Avellana.
Nel 1057 il Papa lo chiamò a Roma per averlo accanto in un momento di crisi della Chiesa, dilaniata da discordie e scismi e alle prese con la piaga della simonìa.
Nominato vescovo di Ostia e poi creato cardinale, aiutò i sei Papi che si succedettero al Soglio pontificio, a svolgere un'opera moralizzatrice.
In quest'azione si avvalse particolarmente dell'abate benedettino di San Paolo Fuori le Mura, Ildebrando che nel 1073 fu eletto Papa con il nome di Gregorio VII.
Pier Damiani, fu delegato pontificio in Germania, Francia e nell'Italia settentrionale. Morì a Faenza nel 1072. Nel 1828 Leone XII lo proclamò Dottore della Chiesa. (Avvenire)
Etimologia: Piero = accorciativo e dimin. di Pietro
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: San Pier Damiani, Cardinale Vescovo di Ostia e dottore della Chiesa: entrato nell’eremo di Fonte Avellana, promosse con forza la disciplina regolare e, in tempi difficili per favorire la riforma della Chiesa, richiamò con fermezza i monaci alla santità della contemplazione, i chierici all’integrità di vita, il popolo alla comunione con la Sede Apostolica. (22 febbraio: A Faenza in Romagna, anniversario della morte di San Pier Damiani, la cui memoria si celebra il giorno prima di questo).
Dante Alighieri, nel XXI canto del Paradiso, colloca San Pier Damiani nel cielo di Saturno, destinato nella sua Commedia agli spiriti contemplativi.
Il poeta mette sulle labbra del santo un breve ed efficace racconto autobiografico: la predilezione per i cibi frugali e la vita contemplativa ("con cibi di liquor d'ulivi - lievemente passava caldi e geli - contento ne' pensier contemplativi") e l'abbandono della quieta vita di convento per la carica vescovile e cardinalizia.
Il ricordo del cappello cardinalizio, attribuitogli da Dante con un anacronismo, offre a San Pier Damiani il destro per inveire contro i prelati del tempo: ai loro tempi Pietro e Paolo percorrevano il mondo da evangelizzare "magri e scalzi"; adesso "voglion quinci e quindi chi i rincalzi - li moderni pastori e chi li meni, - tanto son gravi!, e chi di retro li alzi.
- Copron de' manti loro i palafreni, - sì che due bestie van sott'una pelle... ".
Ci sono tutti gli elementi di un compiuto ritratto del santo, cioè il contemplativo che il Papa toglie quasi di forza dal convento per farne il fustigatore delle principali piaghe ecclesiastiche dell'epoca, la simonia e l'immoralità del clero.
Pietro era nato a Ravenna nel 1007; già orfano di padre, ultimo di una numerosa nidiata di figli, venne tirato su dal fratello maggiore, Damiano, e ciò ne spiegherebbe l'appellativo di "Damiani".
Dopo aver studiato a Ravenna, Faenza e Padova e insegnato all'università di Parma, entrò nel monastero camaldolese di Fonte Avellana, che divenne il centro della sua attività riformatrice.
Ma la Chiesa dilaniata internamente da discordie e scismi, conseguenza di quel grave malanno che prende il nome di simonia, compravendita di cariche ecclesiastiche, e dalla leggerezza con cui il clero risolveva il problema del celibato, aveva bisogno di uomini integri e preparati come il colto e austero Pier Damiani.
Novello Girolamo, fu al fianco di sei papi come "commesso viaggiatore della pace" e in particolare collaborò con Ildebrando, il grande riformatore divenuto papa col nome di Gregorio VII.
Pier Damiani, dopo varie peregrinazioni nella diocesi di Milano, in Francia e in Germania, ebbe il cardinalato e la diocesi suburbicaria di Ostia.
Già vecchio, fu chiamato da Ravenna, la sua città natale, per ricomporre il dissidio fomentato dai seguaci di un antipapa. La morte lo colse nel 1072 a Faenza, di ritorno dall'ultima missione di pace.
Venerato subito come santo, ebbe riconosciuto il suo culto ufficialmente nel 1828, da Papa Leone XII, che lo proclamò anche Dottore della Chiesa per i suoi numerosi scritti di contenuto teologico.

(Autore: Piero Bargellini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pier Damiani, pregate per noi.

*San Pipino il Vecchio (o di Landen) (21 febbraio)
575 – Landen (Brabante, Belgio), 21 febbraio 640  
Pipino di Landen, detto anche “il Vecchio”, Duca di Brabante, nacque nel 575, figlio del Principe Carlomanno e della principessa Ermengarda. Fu maestro di palazzo sotto i Re di Francia Clotario II, Dagoberto I e Sigeberto II, esercitando questo grande incarico, un po' differente dall'autorità reale, con una rara prudenza.
Si contraddistinse particolarmente per la sua fedeltà al re e per il suo amore per il popolo. Egli abbracciò con costanza ineguagliabile i giusti interessi dell'uno e dell'altro, senza temere di dover far torto ai diritti reali in favore del popolo.
Con ammirabile equilibrio si prodigò nell'evitare che, usando come pretesto i diritti del re, si opprimesse e si prostrasse il popolo, preferendo così la volontà divina a quella umana, che proibisce di favorire i potenti a scapito dei deboli. Inoltre, era solito rendere al popolo ciò che secondo la giustizia gli spettava ed a Cesare solamente ciò che apparteneva legittimamente a Cesare. Associò a sé al potere Sant'Arnoldo, vescovo di Metz e poi suo con suocero: non faceva niente senza il suo consiglio, conoscendo la sua eminente virtù e la sua grande capacità nel governo dello stato. Alla morte di Arnoldo gli successe nell'amministrazione degli affari un altro grande santo, Cuniberto, arcivescovo di Colonia. Ciò può bastare a giudicare con quale ardore egli abbracciasse la giustizia in ogni sua sfaccettatura, scegliendo degli uomini così eccellenti ed incorruttibili per essere fedeli consiglieri di ogni sua azione.
Ma il re dei Franchi Clotario II non si limitò a mettergli tra le mani la prima carica dello stato, nominandolo maestro di palazzo, e decise dunque di onorarlo di tutta la sua confidenza donandogli
tutto il potere che un grande ministro può sperare. Associato il suo figlio primogenito Dagoberto ad una parte della sua potenza e messolo in possesso del regno d'Austrasia, Clotario scelse nel 622 fra tutti i grandi della corte proprio Pinino, uomo ammirabile, per conferirgli interamente la guida del giovane neosovrano.
Pipino esercitò degnamente questa nuova carica, non dimenticando niente di ciò che poteva imprimere nello spirito di Dagoberto il timor di Dio e l'amore per la giustizia, mettendogli sovente davanti agli occhi queste belle parole del Vangelo: “Il trono di un re che rende giustizia ai poveri non sarà mai rovesciato”.
Fu proprio grazie alla prudenza di Pipino che Dagoberto I poté governare bene e fortunatamente, anche quando alla morte del padre ne ereditò il potere sugli altri stati del suo regno. La fazione di suo fratello Cariberto e di vari altri dissidenti fu presto dissipata grazie al valore di Pipino, che si dimostrò valoroso nella guerra, ma soprattutto giusto e saggio nella pace. Dagoberto, riservatosi esclusivamente i diritti che gli erano propri, si guadagnò il cuore di tutto il popolo per la sua libertà, la sua giustizia, la sua dolcezza e tutte le altre qualità degne di un grande re, eguagliando e sorpassando la reputazione dei più illustri dei suoi predecessori. Il suo regno fu uno dei più belli, essendo stato sempre guidato dai consigli di un santo ed abile maestro quale fu Pipino.
Ma, come niente è più difficile che conservare lo spirito puro nel mezzo della corruzione del secolo, ed il corpo casto tra i piaceri che accompagnavano la prosperità e la sovrana potenza, il re Dagoberto si tuffo ad un certo punto nella voluttà, facendo ricorso a metodi ingiusti per soddisfare le sue spese folli e disordinate. Il cuore di Pipino non poté che sentirsi trafitto dal dolore , lo riprese severamente e gli fece notare la sua ingratitudine verso Dio. Ma il giovane non sopportò i suoi rimproveri e meditò di ucciderlo, spinto anche da qualche cortigiano che odiava il santo ed invidiava la sua virtù.
Ma Dio, che è il protettore dei giusti, liberò Pipino da questo pericolo. Il re comprese infine la giustezza delle sue rimostranze e tornò a manifestare più venerazione che mai nei suoi confronti. Per dargli una prova non equivoca pose tra le sue mani il suo figlio Sigeberto, che nel 633 inviò a regnare in Austrasia sotto la sua guida. Il giovane fu in realtà re solo di nome, poiché l'effettivo governo del regno fu in realtà completamente in mano a Pipino. Proprio in tale periodo l'Austrasia si trovò liberata dalle grandi incursioni dei barbari, repressi e confinati nel loro paese, che aveva subito sino ad allora. Dopo la morte del re Dagoberto I, Pipino avrebbe desiderato mettere Sigeberto II in possesso di tutti i suoi stati, se suo padre non lo avesse precedentemente obbligato ad accontentarsi dell'Austrasia ed a lasciare il regno di Francia a Clodoveo, figlio secondogenito.
La morte del santo duca Pipino, avvenuta il 21 febbraio 640 nel suo castello di Landen, nel Brabante, fece piombare l'intera Austrasia in una profonda afflizione, che lo pianse quale fosse stato uno dei suoi migliori re, ricordandone la sua vita impregnata di santità, la sua reputazione senza macchia, la sua saggezza e la sua condotta ammirabili. Egli fu sempre giustamente considerato quale protettore delle leggi, sostegno dei deboli, nemico delle divisioni, ornamento della corte, esempio per i grandi, guida dei re e padre della patria. Il suo corpo, subito deposto nel luogo della morte, fu in seguito trasferito nel monastero di Nivelle.
È da precisare che il personaggio in questione, Pipino di Landen, non è assolutamente da confondere con altri due suoi omonimi i cui nomi sono assai più celebri suoi nostri libri di storia: il primo è Pipino di Héristal, anch'egli maestro di palazzo e padre di Carlo Martello, mentre il secondo è Pipino il Breve, figlio appunto di Carlo Martello e primo re francese appartenente alla seconda dinastia, cioè quella poi definita carolingia. Il nostro santo, invece, più antico di entrambi, fu antenato di Pipino di Héristal tramite sua figlia Begga, che sposò il figlio del vescovo Sant'Arnoldo, da quest'ultimo donatole per il bene della Francia ed il sostegno della sua grande ed illustre monarchia.
Si può dunque come constatare come la famiglia di Pipino sia stata una famiglia di grandi santi e sante. Sua moglie Itta, nome italianizzato in Ida, sorella dell'arcivescovo di Trèves san Modoaldo, dopo aver vissuto santamente la realtà matrimoniale, si prodigò anche da vedova in ogni sorta di buone opere e ricevette il velo di benedettina del celebre monastero di Nivelles. Qui trascorse il resto dei suoi giorni, offrendo alle altre religiose un raro esempio di perfezione e di virtù. Alla sua morte anche il corpo di Pipino fu ricongiunto a lei in questo monastero da loro fondato. Ida è venerata come santa l'8 maggio.
Pipino e Ida possono dunque essere considerati i capostipiti della dinastia dei Pipinidi, detta poi “carolingia” in onore del primo Sacro Romano Imperatore Carlo Magno.
Dopo il primogenito Grimoldo, che successe al padre Pipino, nacquero due figlie
La primogenita, la grande ed illustre Santa Geltrude, ancora giovanissima dichiarò dinnanzi alla corte franca di scegliere la vita religiosa e di preferire l'obbedienza al Creatore piuttosto che l'autorità regia. Pare infatti che il re Dagoberto stesse ipotizzando un matrimonio con lei.
Entrata nel monastero di Nivelles, ne venne eletta prima badessa all'età di appena vent'anni per le sue eccezionali qualità. Fu eminente in santità, a tal punto da poter essere considerata come uno dei più bei lumi della cristianità.
Sua sorella Santa Begga, invece, ebbe l'onore di essere la radice da cui nacque la seconda dinastia dei re di Francia, come già spiegato precedentemente.
Pipino di Landen lasciò dunque dietro di sé una tale scia di santità tanto da essere considerato subito un santo pur senza essere stato ne monaco, ne prete, ne vescovo, bensì un semplice laico. È venerato il 21 febbraio, anniversario della sua nascita al cielo.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Pipino il Vecchio, pregate per noi.

*San Roberto Southwell - Sacerdote Gesuita, Martire (21 febbraio)  
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Santi Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles"

Horsham Saint Faith, Inghilterra, 1561 - Tyburn, Londra, Inghilterra, 21 febbraio 1595
Martirologio Romano:
Sempre a Londra, San Roberto Southwell, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire, che svolse per molti anni il suo ministero in questa città e nella regione limitrofa e compose inni spirituali; arrestato per il suo sacerdozio, per ordine della stessa regina fu torturato con grande crudeltà e a Tyburn coronò il suo martirio con l’impiccagione.
Il Santo oggi festeggiato appartiene alla folta schiera di martiri cattolici uccisi dagli anglicani in Inghilterra, proprio al tempo dell’affermazione nell’isola della Chiesa nazionale nata dallo strappo tra il re Enrico VIII ed il Romano Pontefice. Il ricordo di questi eroici testimoni della fede non andò perduto e parecchi di essi sono stati beatificati dai papi tra l’Ottocento ed il Novecento. Una quarantina di essi sono anche stati canonizzati da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970, tra i quali il personaggio oggetto della presente scheda agiografica.
Robert Southwell nacque nel 1561 a Horsham Saint Faith, nel Norfolk, regione dell’Inghilterra).
In età giovanile fu mandato in Francia per gli studi, poiché tutte le istituzioni accademiche inglesi erano ormai divenute protestanti: studiò dunque presso il Collegio Inglese a Douai ed il parigino Collegio di Clermont. Qui entrò a contatto con i gesuiti e maturò la decisione di entrare nella Compagnia. L’ammissione gli fu rifiutata a causa dell’età ancor troppo giovane, ma il Southwell ben lontano dal demordere intraprese a piedi un pellegrinaggio a Roma, ove fu accolto e poté entrare nel noviziato di Sant’Andrea il 17 ottobre 1578.
Terminò poi il noviziato a Tournai, in Belgio, ma fece nuovamente ritorno a Roma per intraprendere gli studi filosofici e teologici. Fu proprio nella “Città Eterna” che nel 1584 Robert Southwell ricevette finalmente l’ordinazione presbiterale. Per due anni svolse il suo apostolato nel Collegio Inglese di Roma, sino a quando fu destinato alla missione inglese e fece così ritorno in patria di nascosto nel luglio 1586, insieme con il confratello Padre Enrico Garnet.
Raggiunse Londra e da qui si cimentò nell’aiutare altri sacerdoti cattolici ad entrare in Inghilterra e trovare una sistemazione. Amministrò inoltre i sacramenti nei paesi circostanti la capitale e scrisse libri ed opuscoli sulla fede cattolica per conto di una stamperia segreta fondata proprio dal Garnet.
Una donna, o più precisamente la testimonianza da lei portata contro il sacerdote gesuita, si rivelò fatale per il destino di Padre Southwell: nel luglio 1592, infatti, fu rilasciata dal carcere una certa Anna Bellamy, che durante la prigionia si era convertita all’anglicanesimo.
Dopo settimane di orrende torture, non riuscendo a convincerlo a svelare nulla sugli altri preti cattolici presenti in Inghilterra, il religioso venne trasferito alla Torre di Londra, ove rimase imprigionato per due anni e mezzo. Infine il 20 febbraio 1595 fu processato per alto tradimento, al quale segurono la condanna ed il giorno seguente l’impiccagione a Tyburn. Fu dichiarato santo da Paolo VI nel 1970.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Roberto Southwell, pregate per noi.

*Beato Tommaso Pormort - Sacerdote e Martire (21 febbraio)  
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Martiri di Gran Bretagna e Irlanda"
 

Little Limber, Inghilterra, 1560 circa - St. Paul’s Churchyard, Londra, 20 febbraio 1592
Martirologio Romano:
A Londra in Inghilterra, beato Tommaso Pormort, sacerdote e martire, che, crudelmente torturato in carcere sotto la regina Elisabetta I a causa del suo sacerdozio, portò poi a compimento a Saint Paul il suo martirio con l’impiccagione.
Il Beato oggetto della presente scheda agiografica appartiene alla folta schiera di martiri cattolici inglesi, uccisi al tempo dell’affermazione nell’isola della Chiesa nazionale anglicana, nata dallo strappo tra il re Enrico VIII ed il Romano Pontefice. Il ricordo di questi numerosi eroici testimoni della fede non andò perduto e parecchi di essi sono stati elevati agli onori degli altari dai papi tra l’Ottocento ed il Novecento, tra i quali il beato oggi festeggiato che fu beatificato da Giovanni Paolo II il 22 novembre 1987.
Thomas Pormort nacque verso il 1592 a Little Limber nel Lincolnshire dai genitori Gregorio ed Anna. Dopo aver frequentato il Trinity College di Cambridge, si trasferì all’estero per intraprendere gli
studi ecclesiastici: il 15 gennaio 1581 venne giunse a Reims in Francia, ma dal maggio seguente fu inviato al Collegio inglese di Roma, ove ricevette l’ordinazione presbiterale sei anni dopo in Laterano.
Nel marzo 1588 lasciò il collegio e per un certo periodo servì Owen Lewis, vescovo di Cassano, nel regno di Napoli. Questi lo mandò prima a Milano e poi in Inghilterra, qui a Londra Thomas conobbe e strinse amicizia con San Robert Southwell, nonostante a Roma non avesse mai legato particolarmente con i gesuiti. Trovò rifugio nella parrocchia di San Gregorio presso il merciaio John Barwys che riuscì a riconciliare con la Chiesa. Il Pormort utilizzò per mascherare la sua identità tre diversi pseudomini: Whitgift, Meres e Price.
Nonostante tanti accorgimenti, fu comunque arrestato nel mese di luglio del 1591 in seguito alla testimonianza contro di lui da parte del sacerdote apostata William Tedder, già suo compagno di studi al Collegio inglese di Roma. Thomas riuscì ad evadere, ma fu nuovamente catturato in settembre ed imprigionato. Fu inoltre torturato nell’abitazione del famigerato Topcliffe, “cacciatore di preti”, ove era stat aallestita un’illegale camera di tortura.
L’8 febbraio 1592 Thomas Pormort venne processato insieme con John Barwys e per entrambi fu emessa la sentenza di condanna a morte. Il Barwys venne infine graziato, mentre il sacerdote venne giustiziato sul sagrato della chiesa di San Paolo il 20 febbraio.
(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Tommaso Pormort, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (21 febbraio)
*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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